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L’orto del Castello di Miradolo

A distanza di pochissimo tempo non ci ricordiamo come è nato, o meglio è stato talmente immediato e naturale parlarne e iniziare a progettarlo che è stato come dar voce ad un qualcosa già insito nel luogo da tempo, qualcosa di già presente, anche se non in materia, e che stava aspettando noi.
Forse perché erano anni che desideravo lì un orto, forse perché dopo tante chiacchiere con L’Architetto Paolo Pejrone si è creata una proficua intesa, o forse semplicemente perché doveva andare così, pare ora che quella radura abbia da sempre ospitato questo orto circolare.

Un cerchio, chiuso e protetto, che custodisce nel centro, come fosse uno scrigno, una vasca in pietra che, sapientemente progettata e costruita, sembra anch’essa, lì da sempre.
Tanti oggetti del passato, pietre di antichi tetti, un arrugginito rubinetto, stele portanti delle vigne di una volta con consumati pali di castagni, un tombino in pietra ancora scalpellato a mano: tutto sa di vecchio e di nuovo allo stesso tempo.
Antico sapere e ingegno contemporaneo dialogano e restituiscono al visitatore poesia e stupore.

L’acqua, con il suo dolce suono, è protagonista nell’orto. Allegra e giocosa è a volte più rumorosa e a volte più lieve e consente a chi ne ode le note di dimenticarsi, per un attimo o forse più, del mondo esterno.

Paola Eynard


L’idea

L’idea di far rinascere l’orto al Castello di Miradolo ha preso vita in occasione della mostra “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”: un progetto che ha seguito il corso delle stagioni, accompagnato il trascorrere del tempo, mutato prospettive, colori, luci e ombre, come un giardino. E’ stata immaginata come un cammino ideale lungo un anno, dall’estate 2021 alla primavera 2022, dove le opere in mostra cambiavano con il variare delle stagioni.

Le opere di artisti come Andy Warhol, Giorgio Griffa, Lucio Fontana, Giovanni Frangi, Francesco Menzio, Arrigo Lora Totino, Gilberto Zorio, Umberto Baglioni, Paola Anziché, Robert Rauschenberg, Giuseppe Penone, Mario Merz, Giovanni Anselmo, hanno dialogato con le parole dell’architetto Paolo Pejrone intessendo riferimenti e suggestioni e suggerendo un cammino, oltre il giardino.
La mostra si è sviluppata attorno al concetto di abbecedario: un “ABC” del giardino, in rigoroso dis-ordine alfabetico, secondo le parole e i pensieri di Paolo Pejrone, ma soprattutto una riflessione profonda e intima su temi come la luce, l’ambiente, la calma, i dubbi, le speranze, le sfide che il mondo contemporaneo offre al rapporto tra uomo e ambiente. La A di anarchia e di alberi, la T di tempo, la P di pazienza, la S di sogno, la O di orto – la passione di una vita, sono soltanto alcuni esempi.

La rinascita

L’orto ha forma circolare: armonioso, chiuso, protetto.
Affaccia sulla corte rustica dell’antica dimora e ne completa l’originaria vocazione agricola, con stalla, fienile, forno, pollaio e lavatoio.
Si sviluppa intorno all’asse centrale che attraversa il portale d’accesso all’antica “cassina”, l’aia e il Palazzo, fino alla torre rotonda. Visto dall’alto, l’orto è perfettamente inserito nel disegno del luogo.

I materiali, per la quasi totalità ritrovati al Castello e sparsi nel Parco, hanno fatto da guida alle scelte costruttive. Il disegno dell’orto è stato ritracciato con pietre locali e antiche; lungo il perimetro sono stati inseriti pali di legno di castagno, montati su stele di pietra, come si usava un tempo nelle antiche campagne pinerolesi. Filari di uva bianca lo incorniciano correndo lungo la staccionata.

All’interno dell’orto, piante orticole e floreali, riproposte tra specie rare e antiche: tra le verdure, ravanelli, cipollotti, cavoli, pomodori, cetrioli, sarsèt, prezzemolo, basilico, rughetta, piselli, fave, carciofi e porri, e poi dalie, calle, tageti, nasturzi, zinnie e azzeruoli.

I camminamenti interni sono realizzati in “calatà“: pavimentazione rustica, anche nota come “acciottolato piemontese”, creata anticamente con ciottoli derivati dallo spietramento dei campi. Il tutto in armonia con l’antica pavimentazione della corte rustica e come sua continuazione e ampliamento.

Al centro dell’orto una vasca quadrata di pietra, riproposta con vecchi lastroni ritrovati al Castello. L’acqua è in movimento perpetuo: scorre ininterrottamente, alimentata dall’antico pozzo.

La riproposizione dell’orto si è inserita in un programma ampio che la Fondazione Cosso ha dedicato ad attività didattiche, incontri letterari e divulgativi per approfondire i temi del paesaggio, dell’ambiente e della biodiversità.

Con l’occasione, per la prima volta, si sono resi accessibili al pubblico gli edifici rustici, nucleo più antico della proprietà. Ricerche d’archivio rivelano che già nel Seicento esisteva una “cassina”, corredata da ampi terreni, vigne e frutteti, di proprietà della famiglia Macello, poi Massel di Caresana, intorno alla quale sarebbero poi sorti il “palazzo” e il “giardino” di Miradolo, tra il XVIII e il XIX secolo.

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